L'AMBIZIONE DELUSA
Seconda opera in allestimento al Festival della Valle d’Itria nel suggestivo Chiostro dell’ex convento domenicano di Martina Franca, L’Ambizione Delusa è opera di Leonardo Leo (1694 - 1744), uno dei grandi nomi della scuola musicale napoletana di origini pugliese. Leo visse tutta la sua carriera a Napoli, dove ebbe modo di vivere nell’epoca più intensamente ricca da un punto di vista musicale che la città partenopea abbia mai vissuto. La sua musica, da quella sacra a quella teatrale, è appassionata e nobile, semplice ma di grande effetto. Grande è la sua produzione musicale e notevolmente interessante, purtroppo troppo poco conosciuta, apprezzata e rappresentata. L’ambizione delusa rientra tra le sue oltre cinquanta opere musicali, venne rappresentata per la prima volta nel Teatro Nuovo di Toledo a Napoli il 27 maggio 1742. Questa commedia pastorale abbandona il napoletano come lingua ufficiale dell’opera comica settecentesca, per caricarlo di significato espressivo e drammatico nel solo personaggio del rozzo pastore Ciaccone, dando conto - in chiave ironica - delle differenze di classe sociale tra i diversi personaggi dell’opera. La trama riprende le classiche vicende di amori contrastati e travestimenti classici della commedia del tempo. I protagonisti, i fratelli Cintia e Lupino sono due contadini arricchiti ma rimasti rozzi e la loro ambizione li porterà a passi sbagliati, per cui riceveranno una dura lezione di vita, ma alla fine si vedrà coronato il sogno d’amore del pastore Silvio, innamorato di Cintia, di Ciaccone innamorato di Delfina e di Foresto innamorato di Laurina.
Questo allestimento, in prima esecuzione in tempi moderni, è opera della regista Caterina Panti Liberovich, che ha dato una visione minimalista e contemporanea all’opera. Indubbiamente, sia il contesto in cui è stata rappresentata – lo splendido chiostro dell’ex convento di San Domenico – sia la trama abbastanza statica e convenzionale, hanno determinato questa scelta registica, che sotto alcuni aspetti ci è sembrata innovativa, leggera e di bell’effetto, mentre – di riscontro – è caduta nella trappola delle regie delle opere barocche. L’eccessivo minimalismo e l’uso di simboli di difficile comprensione non ha permesso una connotazione chiara dei personaggi e si è perso il gusto ironico e divertente del libretto, a favore di una visione più drammatica e cupa. A parte questo il lavoro della Panti Liberovich ci è sembrato dinamico e scorrevole, raffinato e pacatamente ironico. Essenziali i costumi di Caterina Botticelli, minimali ma efficaci.
Il cast vocale era composto dai giovani artisti dell’Accademia del Belcanto Rodolfo Celletti, tra cui spiccavano le voci di Filomena Diodati in Delfina, Michela Antenucci in Cintia e Federica Carnevale in Silvio.
Il maestro Antonio Greco, esperto del repertorio napoletano sei-settecentesco, ormai presenza stabile a Martina, ha guidato con sapiente mano l’Orchestra ICO della Magna Grecia di Taranto, piccola ensemble d’archi prevista in partitura, non particolarmente usa a questo repertorio; la lettura del maestro Greco è stata di ampio respiro e sicuramente efficace nel rendere la varietà e la ricchezza della partitura di Leo, pur sfrondata da pagine che sarebbero risultate pesanti per il pubblico moderno.
Questo allestimento era al suo compimento, dopo aver visto quattro rappresentazioni, tra cui una trasferta a Matera. Progetto perfettamente riuscito, visto anche il folto pubblico che affollava il chiostro di San Domenico e quello in fila alla porta in cerca di biglietti. Pubblico internazionale ed entusiasta, per un genere non sempre apprezzato in Italia, ma che – come dimostra l’esperienza di Martina Franca – ha un enorme potenziale. Consensi generali a cantanti e musicisti.
CRISPINO E LA COMARE
Il Festival della Valle d’Itria 2013 - che riserva due titoli d’opera su cinque al Belcanto italiano ottocentesco - vede il ritorno come opera inaugurale un’opera buffa, anzi, un melodramma fantastico giocoso.
La scelta è caduta su un lavoro che, dalla seconda metà dell’Ottocento fino ai primi del Novecento, fu considerato uno dei massimi capolavori del genere, oggetto di rappresentazioni in tutti i teatri italiani dell’epoca: Crispino e la Comare, dei fratelli napoletani Luigi e Federico Ricci.
L’opera può davvero essere considerata un classico dell’opera buffa di metà Ottocento. Lo spiritoso e gustosissimo libretto di Piave unisce, in una sorta di apologo, Molière a elementi fantastici fino ad allora del tutto insoliti nelle commedie in musica. L'opera manca dalle scene da circa un trentennio, dall’ultima felice edizione prodotta dalla Fenice di Venezia nel 1986 e da quella – passata inosservata – di Savona del 1989.
La prima esecuzione assoluta si svolse a Venezia il 28 febbraio 1850 al Teatro San Benedetto, il suo successo fu tale da essere eseguita a Londra (prima rappresentazione il 17 novembre 1857 al St's James Theatre), a Calcultta (prima rappresentazione nel 1867 alla Calcutta Opera House) e a Melbourne (prima rappresentazione al Princess's Theatre l'11 agosto 1871).
La vicenda si svolge Venezia, XVII secolo. Crispino vive in povertà con Annetta, sulla quale Don Asdrubale ha messo gli occhi. Don Asdrubale vive con la nipote Lisetta, che egli vorrebbe sposare per incamerarne le sostanze; Lisetta, gravemente malata, ama però il contino del Fiore. Intanto Crispino, disperato per le precarie condizioni economiche, decide di gettarsi in un pozzo, quando gli appare una misteriosa donna velata (la buona comare... cioè la morte) che lo esorta a intraprendere la carriera di medico e gli predice ricchezza, donandogli anche un sacchetto di monete. Rinfrancato dalla visione, il ciabattino si dà alla professione medica. La comare ha promesso di aiutarlo: se ella apparirà accanto a un malato, significherà che questi è destinato a morire. Come primo paziente visita Bortolo, reduce da una pericolosa caduta; non vedendo comparire la comare, Crispino diagnostica la guarigione che infatti, tra lo stupore generale, si verifica. Ma i successi medici finiscono poi per inorgoglire Crispino, che prende a maltrattare la moglie e si mostra irrispettoso verso la stessa benefica comare. Per questo ella lo punisce rivelandogli che è giunta la sua ora; allora Crispino comprende la sua presunzione e si pente, implora la comare che lo perdona, promette di cambiar vita e si riappacifica con Annetta.
Il moderno allestimento del Festival della Valle d’Itria è opera del giovane regista sudafricano Alessandro Talevi, al suo debutto in Italia. Talevi ha ambientato il Crispino in una piazzetta di Venezia più vicina ai nostri giorni, piena di turisti, venditori, ciarlatani e di un povero ciabattino maltrattato da tutti. La raffinata scena unica di Ruth Sutcliffe, rende appieno questa situazione, collocando al centro una scalinata, che potrebbe essere quella di un ponte in una qualsiasi calle di Venezia, con al centro il pozzo e ai lati insegne pubblicitarie di farmacie e negozi alla moda. La regia di Talevi scorre velocemente, con freschezza e brio, nonostante qualche caduta nel grottesco. Originalmente caratterizzati i personaggi, soprattutto quello del ciabattino – dottore, quello della esuberante Annetta e quello della Comare, rappresentata come una presentatrice molto appariscente. Non mancano le gag comiche, create anche dalla verace attorialità di Domenico Colaianni/Crispino.
Buono il cast, molto eterogeneo. Domenico Colaianni nel ruolo del titolo, ha spiccato per la simpatia, le doti attoriali e vocali; buona voce, perfettamente nella parte, ha dominato indiscusso tutta la scena, senza mai eccedere e con grande ironia. Stefania Bonfadelli è stata una vivace Annetta, chiara nella voce e acuti puliti e impeccabili; ha confermato le sue ottime doti canore e attoriali. Mattia Olivieri in Fabrizio ha dato un'eccellente prova. Buona anche la prova di Alessandro Spina in Mirabolano: come Olivieri, ha dimostrato di essere pienamente nel ruolo e di sapersi concentrare nei ruoli buffi. Romina Boscolo è stata una Comare non pienamente in forma vocalmente. Fabrizio Paesano un debole Contino del Fiore. Bravi e belle voci Carmine Monaco nei panni di Asdrubale e Francesco Castoro nel ruolo di Bartolo; anche Lucia Conte in Lisetta ha dato una valida prova, nonostante il breve ruolo.
La direzione del maestro Jader Bignamini, alla guida dell’ Orchestra Internazionale d'Italia è stata impeccabile. Jader Bignamini è tra i più interessanti direttori emergenti di scuola italiana e ha diretto in modo sicuro, leggero e brioso e l'orchestra si è lasciata plasmare, dando una prova veramente eccelsa. Molto bravo e versatile il coro del Teatro Petruzzelli di Bari, ottimamente guidato dal maestro Francesco Sebastiani
Nella splendida cornice del Palazzo Ducale in tutto esaurito, un pubblico entusiasta, divertito che ha tributato ai cantanti, soprattutto a Colaianni, un meritato plauso.
GIOVANNA D'ARCO
Non poteva mancare al Festival della Valle d’Itria un titolo che celebrasse il Verdi operista nel bicentenario della nascita. Nessun altro festival o teatro italiano ed europeo ha messo in programma la messa in scena di Giovanna D'Arco nell’anno verdiano, settima opera di Verdi, accolta da un esito lusinghiero alla prima assoluta milanese del 15 febbraio 1845. Nonostante il felice debutto milanese e il successo riscosso nei principali teatri italiani che l'ebbero in cartellone negli anni a seguire, l’opera non resse il confronto con le opere della prima maturità, e dalla seconda metà dell’Ottocento iniziò ad essere accantonata.
L’allestimento di Martina Franca è stato affidato alle mani di Fabio Ceresa, apprezzato già lo scorso anno per lo spettacolo L'Orfeo, immagini di una lontananza. Ceresa, mettendo a frutto anni di collaborazione con i più grandi nomi della regia contemporanea come aiuto regista al Teatro alla Scala, ha ideato uno spettacolo secondo i punti di forza della sua poetica: valorizzazione dello spazio scenico e concentrazione di vortici emotivi e drammatici attorno ai nuclei drammaturgici e testuali del dramma. La regia di Ceresa ci è parsa essenziale, senza nessuna particolare emozione, piuttosto statica. Uno dei pochi momenti che uscivano da un convenzionale posizionamento fisso dei personaggi è stata la lotta tra il bene e il male davanti ad una sognante Giovanna, nel primo atto. Quello che sicuramente ha nociuto a questa regia, che pure presentava idee interessanti, ma poco sviluppate, era la fissità del coro e il poco approfondimento dei personaggi.
In un altro anno di gravi difficoltà economiche per il Festival, questa Giovanna d'Arco si è avvalsa di elementi scenografici tratti dal ricco repertorio dei laboratori del Teatro Petruzzelli, anche se la scena – fissa ed unica – sempre di Ceresa, si limitava ad una sola scalinata da cui entravano ed uscivano i personaggi, e nell'atto finale ad una quercia issata davanti alla stessa scalinata. I costumi di Massimo Carlotto sono parsi convenzionali e all'insegna dei tagli economici.
Se la regia ha convinto, ma non troppo, diverso discorso per il cast vocale, veramente eccezionale e bravo. Nel ruolo del titolo Jessica Pratt ha confermato la sua fama di sublime voce del bel canto; la giovane soprano australiana, ha dato vita ad una credibile e grande Giovanna con voce impeccabile e travolgente, acuti puliti e pianissimi di grande effetto, bel timbro, emissione fluida e ottima coloritura. Jean-Francois Borras in re Carlo VII, ci è sembrato all'altezza del ruolo; la giovane voce tenorile è raffinata ed elegante, con acuti corretti e emissione morbida; ottima presenza scenica. Julian Kim ha ricoperto il ruolo di Giacomo, padre di Giovanna, dimostrando un timbro pastoso ed omogeneo, un nitido fraseggio e un assoluto controllo della voce, rendendo un personaggio più che credibile, grazie anche alle grandi capacità vocali. Bravo Roberto Cervellera in Delil; discreto Emanuele Cordaro in Talbot.
Il maestro concertatore e direttore Riccardo Frizza ha dato un taglio molto leggero e piacevole all’opera. Non ha – giustamente – calcato la mano su una concertazione stereotipata, ma ha saputo dare slancio e vivacità, senza nessun eccesso, dosando liricità ed enfasi con sapiente mano. L’Orchestra Internazionale d’Italia ha risposto positivamente alla sua direzione, dando un’ottima prova. Bravo e versatile il coro del Teatro Petruzzelli di Bari, guidato dal maestro Francesco Sebastiani.
Nella splendida cornice del Palazzo Ducale di Martina, un pubblico eterogeneo e internazionale, ma freddo, onorato della presenza del ministro Massimo Bray, ha tributato ovazioni al cast vocale, soprattutto alla Pratt.